La guerra e la crisi

La guerra mostrò agli italiani il suo vero volto nell'inverno del 1942. Le sconfitte militari, la fame, i bombardamenti, i lutti, le privazioni, facevao presagire l'imminente tracollo del regie e del Paese. La Roma campione d'Italia entrò in crisi negli stessi giorni di novembre, dopo un inizio molto decoroso (due vittorie e due pareggi). Il primo novembre il Torino, rinforzato dagli acquisti di Loik e Mazzola, travolse i giallorossi per 4-0, ipotecando un dominio tecnico su tutto il calcio italiano che sarebbe durato sette anni. Tre giorni dopo la Roma si mise in viaggio per raggiungere Genova, attraversando un' Italia sconvolta dalle incursioni aeree nemiche. I giallorossi presero alloggio a Rapallo, a un'ora di treno da Genova e la mattina della domenica salirono sul convoglio alle 10,30, con il programma di pranzare in un ristorante vicino allo stadio, poco prima di mezzogiorno. Il treno venne mitragliato durante il percorso e si rifugiò in una galleria, entrando in collisione con un altro convoglio che si era fermato per non esporsi al fuoco degli aerei nemici.
Nessuno dei giocatori rimase ferito, ma la partita venne rinviata, mentre il disordine e la paura si diffondevano un po' dappertutto. Ne restò vittima soprattutto Schaffer, che viveva lontano dai suoi ed era sempre più preoccupato per lo sviluppo negativo degli eventi bellici. Aveva paura di restare isolato. La moglie, che era proprietaria di una birreria a Monaco, lo sollecitava a raggiungerla. Finché Schaffer si sentì sicuro, non ci furono problemi. Ma dopo aver visto in faccia la morte, sotto il tunnel della galleria, sentì il desiderio di ricongiungersi alla famiglia in quel momento in cui la vita di tutti era appesa ad un filo. Biancone si accorse che l'umore del tecnico era cambiato e raccolse il suo sfogo: «lo volere andare via, io volere tornare a casa». Bazzini non si oppose al desiderio dell'allenatore e sulla panchina della Roma si sedette l'ungherese Gela Kertesz. Quando Schaffer raggiunse la moglie, gli parve di essere caduto dalla padella nella brace. Monaco era sconvolta dai bombardamenti a tappeto.
L'uomo che aveva portato la Roma al primo scudetto si rifugiò a Prien, un paesino vicino a Salisburgo e lì venne raggiunto dalla morte. Raccontò poi la moglie che durante il delirio rivisse a voce alta le fasi della partita col Venezia, che aveva consacrato la Roma degna del titolo. Partito Schaffer la Roma si sfasciò, perdendo tre partite di fila. Si riprese verso la fine della stagione, ma nelle semifinali di Coppa Italia contro il Torino sull' 1-1 successe il fattaccio. L'arbitro convalidò un gal di Ossola nonostante la bandiera alzata del guardalinee.
I giocatori protestarono, invocando la testimonianza del signor Massironi di Milano, che aveva segnalato il fuorigioco. Nell'assembramento Massironi venne colpito e l'arbitro espulse Amadei, che era completamente estraneo all'accaduto.
I giocatori della Roma si fermarono per protesta e l'arbitro sospese l'incontro. La Roma ebbe partita persa e Amadei venne squalificato a vita. Solo quando Dagianti ammise che il calcio al guardalinee lo aveva sferrato lui, Amadei venne graziato da una amnistia.
Nel frattempo l'allenatore Kertesz venne richiamato alle armi dall'esercito ungherese. I migliori giovani erano stati sterminati sui campi di battaglia e ormai la divisa veniva imposta anche a quelli coi capelli bianchi. In pochi mesi era accaduto H peggio di tutto. La crisi della squadra venne oscurata dalla crisi più aspra di tutto ilPaese, mentre la città veniva prima occupata dai tedeschi e poi dagli anglo-americani. La Roma e la Lazio continuarono a giocare in un ambito cittadino, con squadre di dilettanti (Mater, AVIA, Alba, Elettronica, Trastevere, Vigili del Fuoco, Tirrenia) e squadre di vecchie glorie. La Roma vinse il campionato laziale disputato tra il 1944 e il 1945, mettendo in luce, al posto di Amadei, un giovane di 17 anni: Mario Forlivesi. Breve la vita felice di questo piccolo campione. Segnò sette gol in otto partite per morire tragicamente nell'aprile del 1945 a soli 18 anni. Lo stadio era stato requisito dalle truppe di occupazione e si giocava dove si poteva. Il documento che riportiamo in basso dà la misura di tante difficoltà.

Tratto da La Roma una Leggenda Editrice il Parnaso

 

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